Come tutte le patologie croniche, il diabete ha un forte impatto sulla psiche. Esistono numerosi dati in letteratura che indicano una stretta correlazione tra malattia diabetica e condizioni psicologiche che a loro volta influenzano la gestione della malattia. Infatti, in una vasta popolazione di soggetti con diabete di tipo 1 (DT1) e con diabete di tipo 2 (DT2) si è osservata una presenza significativa di disturbi psicologici ad esso concomitanti. Di seguito ci soffermeremo sui sintomi e sulle sindromi depressivi, sui disturbi d’ansia, sui comportamenti alimentari ed altri disturbi mentali gravi.
Prima di affrontare gli aspetti psicologici, è opportuno conoscere genericamente la differenza tra diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2. L’eziologia del diabete di tipo 1 è di origine autoimmune con la distruzione delle cellule beta-pancreatiche che producono insulina; il diabete di tipo 2, invece, consiste nello sviluppo di una insulino-resistenza con conseguente tossicità lipidica e glucidica (ADA 2015).
I professionisti della salute raccomandano sempre di adottare trattamenti e comportamenti finalizzati alla cura del diabete che possano aumentare o ripristinare il livello di insulina ottenendo così un adeguato controllo glicemico, come ad esempio mantenere un bilancio tra introito calorico, esercizio fisico e assunzione di farmaci orali e/o iniettabili (insulina) per l’intero arco di vita, subito dopo la formulazione della diagnosi.
Si è osservato che le popolazioni a più alto rischio di diabete, come alcune minoranze etniche e razziali e le persone con basso livello socio-economico, possono essere esposte a condizioni ambientali (povertà e stress) che favoriscono il rischio di malattia mentale, ciò rischia di compromettere alcune variabili importanti come la cura di sé e la gestione della terapia stessa. Tutti questi fattori peggiorano la salute psicologica dei pazienti con diabete. Intervenendo sulle condizioni psicologiche, si può migliorare sia il benessere psichico che il controllo metabolico del diabete stesso (Coxe et al., 2001; Katon et al., 2010).
PREVALENZA DELLA DEPRESSIONE
In una meta-analisi, Anderson, Freedland, Clouse e Lustman (2001) hanno documentato che i tassi di prevalenza nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 e di tipo 2 con sintomi di depressione severa erano rispettivamente del 21,3% e del 27%. Una recente meta-analisi ha identificato, attraverso la somministrazione di interviste cliniche, un aumentato rischio del 24-38% di sviluppare sintomi depressivi nei pazienti con DT2 (Nowen et al., 2010; Rotella e Mannucci, 2013). Inoltre, in pazienti con diabete di tipo 2, la sintomatologia depressiva è più elevata in coloro che assumono insulina rispetto a quelli che utilizzano ipoglicemizzanti orali o che seguono una dieta o che migliorano autonomamente il proprio stile di vita (Hermanns, Kulzer, Krichbaum, Kubiak e Haak, 2005). Sebbene l’insulina non possa essere considerata un fattore di rischio per l’insorgenza di depressione, il suo uso richiede una maggiore attenzione sul controllo della malattia. Ulteriori fattori di rischio per depressione in questi pazienti sono l’ipoglicemia e lo scarso controllo dei livelli di glicemia (Holt, de Groot e Golden, 2014).
Il trattamento psicoterapico maggiormente utilizzato è quello cognitivo-comportamentale; altri interventi psicologici, comunemente usati in pazienti diabetici, comprendono interventi focalizzati sul problem-solving, la terapia relazionale, le interviste motivazionali, il counseling e la terapia psicodinamica (van der Feltz-Cornelis et al., 2010). I migliori effetti sono stati riscontrati con la psicoterapia quando combinata con tecniche idonee a migliorare l’autogestione del diabete stesso, suggerendo i benefici dell’integrazione tra la terapia psicologica e delle cure mediche nella gestione dei sintomi depressivi e dei comportamenti maladattivi (stile di vita sedentario e dieta inadeguata), che spesso accompagnano la depressione.
ANSIA
Gli adulti con il diabete hanno un rischio aumentato del 20% di sviluppare disturbi d’ansia se paragonati ad adulti senza diabete (Smith et al., 2013), in particolare per quanto concerne il disturbo d’ansia generalizzato.
Si riscontrano forme d’ansia relative esclusivamente alla presenza del diabete; esse riguardano la paura della complicazione, l’ipoglicemia e le procedure invasive. Le preoccupazioni circa la possibilità di sviluppare complicanze gravi e a lungo-termine sono valutate come l’aspetto più stressante del diabete tipo 1 e 2 (Snoek et al., 2000). La paura anticipatoria dell’ipoglicemia è anche un aspetto comune. Gli episodi di ipoglicemia possono essere imprevedibili e possono essere vissuti come imbarazzanti a causa dei cambiamenti a breve termine del proprio funzionamento e della valutazione sociale da parte dell’ambiente circostante. Quando si valuta l’ansia in persone con diabete, bisogna distinguere i sintomi specifici dell’ansia e i sintomi derivanti dalla ipoglicemia. I sintomi adrenergici, i sintomi affettivi e cognitivi dell’ansia e i sintomi dell’ipoglicemia possono essere molto simili. Pertanto, soggetti con diabete che riportano sintomi di ansia o di panico, dovrebbero essere incoraggiati nel monitoraggio del livello di glucosio nel sangue durante la presenza della sintomatologia. Sono preferibili terapie non farmacologiche, soprattutto nelle fasi iniziali.
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE (DCA) E DISTURBI ALIMENTARI
La gestione del diabete di tipo 1 e di tipo 2 coinvolge aspetti che aumentano il rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare, come ad esempio sovrappeso e obesità, un attento monitoraggio e/o restrizione delle scelte dietetiche, perdita di autonomia nella scelta del cibo, e la tendenza a manipolare il peso attraverso la sovra-somministrazione o l’omissione della somministrazione di insulina.
La maggior parte degli studi si è focalizzata su adolescenti e giovani donne con DT1 e DT2. Young e coll. (2013) hanno rilevato una prevalenza di disturbi del comportamento alimentare pari al 51.8% in campioni di adolescenti con DT1, confrontati con una prevalenza del 48% in campioni di pazienti non diabetici. La prevalenza dei disturbi alimentari (come definiti dai criteri del DSM) era del 6.4% in campioni di pazienti con DT1 confrontati con la prevalenza del 3% in campioni di pazienti non diabetici, utilizzando valutazioni adattate alla presenza del diabete.
I protocolli di intervista clinica sono stati adattati alla valutazione dei sintomi nel contesto del trattamento del diabete includendo l’Eating disorders examination (Cooper e Fairburn, 1989). Per stabilire una diagnosi di disturbo dell’alimentazione o di disturbo del comportamento alimentare, la valutazione dovrebbe includere l’adeguamento alla diagnosi di malattia, aspetti relativi al peso e alla forma, raccomandazioni mediche per la dieta (es. raccomandazioni di perdita di peso, trattamento dell’ipoglicemia), l’uso dell’insulina e di cure per controllare il glucosio nel sangue e la produzione di incretina che può influenzare il senso di sazietà e infine eventuali comorbidità con la psicopatologia (Young–Hyman, 2012). I trattamenti standard stabiliti sono rappresentati dalla psicoterapia cognitivo-comportamentale, terapie relazionali e terapie cognitive integrate con l’ausilio farmacologico rivolti ai sintomi inerenti le comorbidità psichiatriche nella popolazione generale e adattate ai comportamenti di gestione del diabete.
MALATTIE MENTALI SEVERE
Esiste una documentata evidenza che testimonia la relazione tra disturbi mentali gravi e il diabete. Nei disturbi mentali gravi sono inclusi la schizofrenia e la depressione; alcuni studi includono i disturbi schizoaffettivi, disturbo bipolare, e altre malattie mentali debilitanti (Druss et al., 2009). L’obesità è un aspetto prevalente tra gli individui con disturbi mentali gravi e rappresenta un alto fattore di rischio per la comparsa del DT2, del disturbo cardiovascolare e per la mortalità precoce. Gli individui con disturbo bipolare hanno una più alta prevalenza di sovrappeso, obesità e sindrome metabolica, se confrontati con la popolazione generale (Fiedorowicz et al., 2008). L’Associazione Americana per il Diabete (ADA) raccomanda lo screening per i pazienti con rischio cardiometabolico prima o subito dopo l’inizio di terapie antipsicotiche. Inoltre, gli individui con sovrappeso o obesi dovrebbero ricevere consulenze per l’attività fisica e nutrizionale ed essere inseriti in un programma di controllo del peso. Le migliori evidenze suggeriscono che, in soggetti con malattie mentali severe, gli interventi comportamentali sono vantaggiosi per l’abbassamento del peso e del BMI (Body Mass Index: indice di massa corporea) e sono ancor più efficaci quando i programmi comportamentali di perdita di peso sono adattati per soddisfare l’alta prevalenza di sintomi psichiatrici e l’indebolimento cognitivo (Daumit et al., 2013).
Sulla base di quanto detto è pertanto utile ricordare che l’intervento psicologico in caso di diabete è necessario per attivare meccanismi di coping e per contenere ansia, paure e insicurezze. Il buon adattamento alla malattia dipende dal tipo di strategie che il paziente mette in atto per affrontarla.
Il DT1 e DT2 sono malattie, emotivamente e cognitivamente, impegnative. La letteratura mostra che il trattamento sui disturbi psicologici può essere efficace per migliorare il controllo glicemico e, poiché i tassi di DT1 e DT2 continuano a salire (ADA, 2014), vi è una forte esigenza di una ricerca innovativa che miri a una migliore comprensione tra le condizioni psicologiche e il diabete.
Traduzione e adattamento di Antonella Capitanio e Angela D’Addario
Per approfondimenti sullo studio originale: Psychological Conditions in Adults With Diabetes